Necroscopia dell’etica animalista
Scusate l’assenza, vari impegni mi hanno impedito di occuparmi di questo blog. L’argomento di discussione che propongo oggi non è solo attuale ma contiene un paradosso di complessa risoluzione. Non voglio occuparmi di fatti, non citerò gli eventi del dipartimento di farmacologia di Milano o gli attacchi al M. Negri.
Quello di cui mi occuperò è di far luce sui punti cardine di quel movimento filosofico denominato “antispecismo”, comprendere gli attriti con lo “specismo” e trarre alcuni semplici conclusioni.
Prima di tutto, cosa è l’antispecismo? (Cito da Wikipedia)
L'antispecismo è il movimento filosofico, politico e culturale che si oppone allo specismo.
Il primo autore a parlare di «specismo» fu lo psicologo Richard D. Ryder. Egli sostiene l'esigenza di smascherare che il più grosso "errore morale" che contraddistingue la società occidentale antropocentrica risiede nel suo rifiutarsi di riservare un trattamento egualitario agli esseri non umani solo per ragioni connesse all'assenza di un legame di specie.
L'approccio antispecista ritiene che:
• Le capacità di sentire (di provare sensazioni come piacere e dolore), di interagire con l'esterno, di manifestare una volontà, di intrattenere rapporti sociali, non siano prerogative della specie umana
• L'attribuzione di tali capacità agli animali di specie non umana comporti un cambiamento essenziale del loro status etico, da equiparare a quello normalmente riconosciuto agli animali di specie umana;
• Da ciò debba conseguire una trasformazione profonda dei rapporti tra individui umani ed individui non umani.
• Ogni essere senziente possiede diritti esistenziali che dovrebbero essere riconosciuti dall'umanità, indipendentemente dal loro modo di vivere, ovviamente diverso da quello umano.
È possibile discutere i punti in ordine:
Gli animali sono certamente in grado di provare sensazioni fisiche, questo non credo si possa mettere in discussione, la vera domanda è se effettivamente siano autocoscienti e questo avviene solo nelle scimmie antropomorfe. Per quelli che non lo sono, si può parlare di dolore, difficilmente di sofferenza psicologica ma piuttosto di stress.
Del problema etico se ne discuterà successivamente così come è importante comprendere come i principi antispecisti cambierebbero la società attuale.
I diritti di ogni essere vivente sono, per quanto mi riguarda, sacrosanti. Il diritto termina, per antonomasia, quando entra in conflitto con le leggi di natura.
Andiamo al succo ora, quali sono gli effetti di un estremismo cieco e sfrontato? Cosa accade quando si giunge all’assolutizzazione del pensiero antispecista che ispira le correnti di pensiero animaliste?
La società può essere definita come un insieme di individui che cooperano per uno scopo comune, intrattengono relazioni che permettono vantaggio reciproco tra gli individui che ne fanno parte.
La società umana, intrattiene rapporti con altre specie animali e si instaurano dei rapporti tali da permettere, nel caso di animali domestici, di allargare il concetto di società umana anche ad altre specie. Da qui, c’è un errore abbastanza rilevante nell’affermare che la nostra è una società specista in senso unidirezionale, perché non è un sistema chiuso che prevede interazioni tra soli individui umani. Pensate a cani e gatti, diamo loro da mangiare e riceviamo in cambio compagnia e affetto. Si potrebbe parlare di specismo nei confronti del bestiame ma anche in quel caso è uno sfruttamento con riserva.
Da un punto di vista pratico siamo disposti a concedere determinati diritti ad alcuni animali, e parlo di concedere perché solo l’uomo è in grado di concepire il diritto, non abbiamo altri esempi in natura.
“Come conciliare un perfetto antispecismo con il sistema sociale?” Questa è una domanda interessante, ma ancora più affascinante è cercare di comprendere se effettivamente l’etica antispecista può garantire la sopravvivenza dell’etica stessa.
Mettiamola così, 4 esaltati entrano in un laboratorio aprono le gabbie e liberano animali impiegati in importanti ricerche sulle malattie neurodegenerative. A chi hanno fatto danno? Ai propri simili. Alcuni animalisti dicono che se in una ipotetica situazione di pericolo potessero salvare un cane o un bambino questi sceglierebbero il cane.
La sperimentazione animale è necessaria per il progresso delle scienze biomediche. Ora non che io sia una voce autorevole, sono un umile studente di medicina non corrotto dalle lobby, anzi se c’è qualche lobby che mi sta leggendo mi piacerebbe un loro contributo economico perché l’affitto pesa ;P.
Il modo più semplice di spiegare il perché la sperimentazione animale è necessaria risiede in un paradosso. Se sapessimo tutto non avremmo bisogno di sperimentare, anche supponendo che il limite tecnologico che impone delle severe restrizioni all’utilizzo dei metodi alternativi non esistesse, comunque il perfezionamento dei metodi alternativi richiede continui approfondimenti e conoscenze che possono derivare solo dalla sperimentazione animale.
La cosa non è difficile, nemmeno per gli animalisti più ritardati. In sintesi, l’organismo è “perfetto” per riprodurlo su altri supporti dovremmo avere una conoscenza perfetta dello stesso, se la avessimo allora non saremmo qui a parlare di sperimentazione.
Qualcuno potrà dirmi che gli organismi dei vari animali non umani siano sostanzialmente differenti da quello dell’uomo. Si, grazie lo sapevamo già, ho una brutta notizia, sono proprio queste differenze che vengono selettivamente sfruttate. In ogni modello ci sono dei limiti, per ora quello animale è quello con meno limiti che abbiamo. Paradossalmente la fase preclinica se compiuta su un essere umano risulta essere meno efficiente rispetto alla stesso tipo di studi compiuti sulle cavie murine.
Riportandoci al discorso etico, ci troviamo davanti a individui che rompono, senza comprenderne le conseguenze, quel primordiale accordo di reciproca collaborazione che assicura l’esistenza stessa della società. Come detto precedentemente è la società stessa che fa da condizione necessaria, ma non sufficiente, all’esistenza dell’etica. Ritengo quindi che una forma di etica che uccide le basi dell’ etica stessa non può essere definita etica, per una semplice serie di motivi. Un’etica antisociale trascina la società nel baratro, da uno stato di diritto a uno di natura.
Questo costringerebbe gli esseri umani a regredire ad una situazione in cui la loro stessa esistenza è votata alla necessità.
Termino con un invito e una riflessione:
Gradirei che gli animalisti e antispecisti si facessero pionieri di questo loro pensiero e lo applicassero fornendoci informazioni su come è vivere in “armonia” con la natura, tra una zecca e l’altra privi di un sistema sociale. Questo li riporta ad una situazione antiumana, nemmeno il sistema tribù sarebbe possibile mantenere.
Provare per credere.
Mi spiace molto per questa gente, hanno un ideale incompatibile con la realtà, insostenibile da ogni punto di vista. Sono come dei polli in una scatola che cercano di volare e che ad un salto più virtuoso accusano gli altri di non provarci. Il fatto è che è proprio grazie agli altri e al sistema sociale che minacciano che gli sono concessi i benefici necessari per saltare.
Vassili.